La rivolta fallita dell’invisibile Thomas
Dave Monroe
against.the.dave at gmail.com
Mon Jun 1 12:54:10 CDT 2009
La rivolta fallita dell’invisibile Thomas
Cultura | Francesco Borgonovo
Pubblicato il giorno: 01/06/09
Ritornano i postmoderni. Fra qualche settimana usciranno in Italia i
romanzi di due degli autori più rappresentativi della corrente
letteraria che tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’70 ha cercato di
rivoluzionare la letteratura americana e mondiale in nome della
sperimentazione e dell’esplosione del linguaggio. Rizzoli annuncia per
fine giugno (anche se potrebbe esserci qualche ritardo vista la
difficoltà di traduzione) la pubblicazione di Against the Day (Contro
il giorno), ultimo romanzo di Thomas Pynchon, autore del monumentale
L’arcobaleno della gravità, noto soprattutto per essere un tipo alla
Salinger, cioè uno che non compare in pubblico e non si fa fotografare
(esistono poche sue immagini, rubate all’annuario delle scuole
superiori o risalenti al suo periodo in marina). Sempre a fine mese,
Alet manderà in libreria JR (pp. 800, euro 34), di William Gaddis, del
quale sono stati tradotti in Italia soltanto Le perizie e Gotico
americano.
L’arrivo di questi due volumi consente di fare il punto, a oltre
cinquant’anni dalla comparsa dei postmoderni (Le perizie di Gaddis è
del 1955), sulla loro tentata rivoluzione, che pare riuscita soltanto
a metà. Oggi infatti trionfano negli Usa e nel resto del mondo autori
come Cormac McCarthy, il quale si ispira ai capolavori di Faulkner e
racconta storie semplici e dirette. David Foster Wallace (autore del
mastodontico Infinite Jest), considerato il vero erede dei postmoderni
e l’unico capace di dare nuova linfa alla tendenza, si è tolto la vita
qualche mese fa.
All’uscita negli Stati Uniti, nel 2006, Against the day di Pynchon è
stato accolto da un coro di stroncature, che ha messo alla berlina la
caratteristica più evidente del narratore nato a Glen Cove e dei suoi
colleghi: la complessità, la moltiplicazione dei piani di lettura, la
miriade di riferimenti più o meno colti alla contemporaneità, l’enorme
numero di pagine (1120). Sul New Yorker il romanzo è stato ridotto a
«metri e metri di carta da parati alla Pynchon». Sul New York Times la
pungente Michiko Kakutani ha scritto che sembra un’imitazione di
Pynchon prodotta da un fan non troppo abile e sotto l’effetto di
droghe. Il libro si presenta come un caotico susseguirsi di storie e
personaggi apparentemente slegati, un mare magnum in cui è facile
perdersi. Pare non sia molto diverso Inherent Vice, il nuovo romanzo
dello scrittore più appartato del mondo, la cui uscita per Penguin è
fissata il prossimo 4 agosto (chi volesse può già prenotarlo su
internet). Dovrebbe essere un giallo, le cui vicende si intrecciano
dal 1893 agli anni Sessanta: un altro labirinto?
Con la complessità di Pynchon deve aver fatto i conti anche Rizzoli,
quando ha deciso di pubblicare nella Bur una sorta di “versione
ridotta” del corposo V., intitolata La storia di Mondaugen, nella
collana Bur60 (appena arrivata nei negozi). Delle originali 586 pagine
sono state selezionate quelle più potabili: appena 150. Che sia giunto
il momento di archiviare Thomas e gli altri postmoderni nello scaffale
avanguardie inutilmente complicate e superate dal ritorno prepotente
del realismo? Robert Coover - autore di Il gioco di Henry (Fanucci) e
fra i capostipiti del postmodernismo assieme a Donald Barthelme,
Stanley Elkin e William H. Gass - pensa di no. Ospite nei giorni
scorsi del festival Incroci di civiltà a Venezia, ci ha spiegato la
sua posizione. «Se abbiamo fallito? La risposta breve è: no. Quella
lunga è che noi postmoderni ci consideriamo scrittori realisti.
Realismo significa mantersi fedeli a una metafora centrale attorno
alla quale si sviluppa il romanzo, come nella Metamorfosi di Kafka.
Anche Cormac McCarthy si sente parte della generazione postmoderna,
proprio come noi. E noi apprezziamo le sue opere, che sono molto
simili al nostro modo di intendere la letteratura, anche se i lettori
le percepiscono diversamente».
Certo, la scomparsa di Foster Wallace è stato un brutto colpo: «Era
davvero lo scrittore più dotato della sua generazione. Lo conoscevo
bene, aveva scritto un saggio su di me. Penso però che avesse un lato
oscuro, il quale probabilmente è il fondamento dei suoi scritti
migliori. È lo stesso lato che vedo in William Vollman: entrambi si
sono sempre messi in situazioni difficili». Ma l’autore di Infinite
Jest non è l’unico dei postmoderni che merita di essere riletto.
Pynchon e Gaddis, secondo Coover, hanno ancora cartucce da sparare,
hanno previsto e messo in scena con anni di anticipo la realtà di
oggi.
Robert conosce personalmente tutti i “postmodernisti” (di Gaddis era
un grande amico). Nel 1988 organizzò alla Brown University una
“Celebrazione in tre giorni della fiction iconoclasta americana”:
c’erano tutti. Mancava solo Pynchon.
È improbabile che Coover non lo abbia mai visto, ma sta al gioco: «Non
l’ho mai incontrato», dice, «ma abbiamo degli amici in comune che mi
riferiscono quello che fa, le notizie che lo riguardano». Insomma,
nessuno è disposto a svelare il mistero dello scrittore invisibile.
«Pynchon è uno di quegli scrittori che a ogni generazione acquistano
una fetta di pubblico, come Melville, Joyce e Beckett», spiega Coover,
«ha previsto l’arrivo della tecnologia nelle nostre vite, il fatto che
oggi tutti gli aspetti del comunicare sono digitali. Questa è una
realtà con cui tutti gli scrittori americani devono fare i conti.
Credo che lui sia uno degli autori più influenti di sempre. Non ho
ancora letto Against the Day, ma confido sia straordinario».
Altro romanzo imperdibile, a parere di Coover è proprio JR di Gaddis
(1922-1998: Alet intende stamparne l’opera completa). In effetti, a
leggerlo oggi suona di grande attualità, anche se risale al 1975. «E
un’opera eccellente, superba», dice Coover, «Gaddis è abilissimo nel
tratteggiare i personaggi. JR tratta proprio della recente crisi delle
banche». Il protagonista, infatti, è un ragazzino di undici anni il
quale - grazie agli acquisti via posta e telefono, che gli permettono
di non rivelare mai il proprio nome e la propria età - riesce ad avere
enorme successo nella finanza. Proprio quello che si intende oggi
quando si discute di “manager senza volto” che mandano in crisi i
mercati con speculazioni azzardate.
Forse, dopo tutto, ha ragione Coover: i postmoderni non sono proprio
da buttare via.
http://www.libero-news.it/articles/view/548203
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